Adolescenza e COVID: genitori e figli tra difficoltà e soluzioni. (2° parte).
Nella prima parte di questo articolo, abbiamo fornito qualche dato statistico sulle difficoltà tipiche dell’adolescenza che in qualche modo si sono esasperati in seguito alla pandemia. Abbiamo poi definito l’età dell’adolescenza, considerato quanto sia importante per un genitore accettare la propria imperfezione e cosa e quali sono i cosiddetti fattori di rischio e di protezione. Proseguiamo vedendo cosa può fare attivamente un genitore.
COSA POSSO FARE COME GENITORE?
Al di là dei freddi e ansiogeni dati che abbiamo visto nella prima parte di questo articolo, che considerazioni utili possiamo fare? Come mamma/papà, quale può essere il mio compito? C’è qualcosa che posso fare? Cosa possiamo fare per poter diventare noi stessi un importante fattore di protezione all’interno di una situazione sociale come quella attuale? Vediamo di riassumere le possibili azioni da intraprendere:
1) Mantenere sempre un rapporto reciproco coi componenti della famiglia in modo da non far sentire nessuno trascurato; questo non significa stare col fiato sul collo ai figli o al partner altrimenti rischieremmo di restringere il loro spazio vitale diventando noi intrusivi e ottenendo solo il risultato di essere allontanati. Mettiamoci piuttosto a loro disposizione, comunichiamo il nostro desiderio di proteggerli e di farli sentire al sicuro, facciamogli sapere – non solo a parole ma con i fatti – che noi ci siamo aiutandoli anche a trovare un loro spazio all’interno dell’ambiente familiare.
2) Poniamoci nella condizione di ascoltare e non solo in quella paternale di dire cosa va bene e cosa va male per i nostri figli (o partner). Che bisogni hanno? Quali emozioni? E rimaniamo ad ascoltare, ascoltare e ancora ascoltare con partecipazione, interesse, senza giudizio e con empatia: se nostro figlio o il nostro partner ci stanno dicendo qualcosa, dietro quelle parole c’è un significato magari del tutto diverso dall’apparenza superficiale. Il cambiamento di paradigma dovrebbe essere il seguente: passare da “perché il bambino si comporta così” a “cosa induce il bambino a comportarsi così”. [1]
3) Non cerchiamo di risolvere subito una problematica . Perché? Perché una soluzione gettata lì, senza ascoltare profondamente l’altra persona, può rischiare di comunicarle che non abbiamo né voglia né pazienza di ascoltarla e che vogliamo toglierci subito di mezzo il problema. L’altro si può sentire dunque non accolto, banalizzato e svalutato. Spesso poi la soluzione si rivelerà inefficace, superficiale o inapplicabile proprio perché generata più dalla nostra fretta che non dalla condivisione con l’altra persona di sentimenti e bisogni appartenenti a entrambi. Infine, qualora nostro figlio (o il nostro partner) si riveli disposto a mettere in pratica la soluzione che abbiamo fornito, quale ruolo avrà avuto egli nella questione? Nel senso: se andrà tutto bene sarà merito nostro, se andrà male, sarà colpa nostra. In un caso o nell’altro non avremmo contribuito a soggettivizzarlo comunicandogli, involontariamente, che non è capace di prendere decisioni nella sua vita. [2]
La vera risoluzione a un problema, si dovrebbe trovare insieme in un clima di collaborazione e non di competizione . [3]
Si potrebbe poi fare un’altra importante considerazione che aiuta a conoscere noi stessi: una soluzione superficiale gettata là per là, parla più della nostra ansia di risolvere subito e a tutti i costi un problema o dell’effettiva voglia di aiutare l’altra persona?
4) La Comunicazione Non Violenta di M. Rosenberg, è fondamentale all’interno della famiglia: iniziamo la relazione comunicativa osservando quello che vediamo senza formulare giudizi di valore che non fanno altro che far tirare su muri di difesa. In seguito, comunichiamo come ci sentiamo, prendendoci la responsabilità delle nostre emozioni (“mi sento così” e non “mi fai sentire così”).
5) Avere paura/ansia è del tutto legittimo , così come è legittimo parlarne e chiedere aiuto (questo vale sia per i figli che per i genitori). Qualora ci dovessimo accorgere che l’ansia o la paura diventano preponderanti e che non siamo in grado di gestirle, può essere una buona opzione rivolgersi a personale specializzato per chiedere un ausilio (psicologi e psicoterapeuti).
6) Un adolescente solitamente vive due attrattive : da una parte, per lui, è ancora importante il nucleo familiare originario che fornisce un sostegno fondamentale (vitto, alloggio, esperienza di vita, esempio, calore e accoglienza) ma è anche forte il “richiamo della foresta”, ossia la spinta ad aprirsi al mondo esterno e all’universo dei suoi pari. Permettiamogli la libertà di esplorare, provare, sperimentare comunicandogli il nostro amore e facendogli sapere che in noi troverà sempre quella base sicura di cui ha bisogno.
7) L’autenticità è fondamentale .[4] Non sappiamo cosa succederà nel futuro ma una cosa è certa: che per ora viviamo nel qui e ora e soprattutto, qualsiasi cosa succederà, la affronteremo insieme. Le persone (i nostri figli o partner che siano) digeriscono peggio le frasi illusorie e fintamente ottimistiche come il famoso “Andrà tutto bene”, piuttosto che una dura verità ma detta con una sincera partecipazione e supporto. L’”Andrà tutto bene” non ha fatto altro che produrre, a posteriori, risentimenti, disillusione, rabbia e ulteriore sfiducia nel futuro. E se poi le cose non vanno effettivamente bene, di chi sarà la colpa? Questo non farà altro che accrescere la paura di un futuro incontrollabile e imprevedibile. In una famiglia coesa sarebbe più giusto affermare invece “faremo di tutto insieme affinché le cose vadano nel migliore modo possibile”.
8) “Si, però, alla fine, il mio problema come genitore rimane: ogni volta è una lotta con mio figlio adolescente con lui che vuole uscire a tutti i costi e io che ho paura per gli assembramenti in cui può trovarsi con i suoi amici”.
Questa è una situazione piuttosto comune dove si scontrano due bisogni: quello dell’adolescente di uscire e quello di sicurezza del genitore, dicotomia che solitamente si tenta di risolvere tramite competizione tra due poteri.
Il risultato non può che essere una guerra dove vince colui che ha il maggiore potere. E’ tuttavia una vittoria di Pirro in quanto il perdente si sente svalutato, non considerato e fatto oggetto di una ingiustizia. La soluzione? L’argomento è troppo vasto per essere trattato in questa sede, tuttavia possiamo accennare che il segreto è passare da una competizione basata sull’antagonismo dei poteri (del genitore e del figlio) a una collaborazione dove si cerca, tramite una soluzione sviluppata insieme, di soddisfare i bisogni di entrambe le parti. Ovviamente, prima di arrivare a questa soluzione, tali bisogni devono essere consapevoli e condivisi.
Altra considerazione che può essere utile per assumere consapevolezza della genesi del problema: è il comportamento di mio figlio/partner a rappresentare effettivamente un pericolo per l’incolumità e serenità della famiglia, oppure è un mio bisogno di controllo inconsapevole? [5]
LA FAMIGLIA: ANCORA UNA BASE SICURA NELL’ADOLESCENZA.
Nell’impossibilità (totale o parziale) di frequentare il gruppo dei pari da parte dell’adolescente, assume particolare importanza il contenimento della rabbia e della frustrazione che può offrire la famiglia.
Un adolescente è un individuo che si pone a metà tra due mondi : quello interno della famiglia e quello esterno della società. Come detto nel punto 6) di cui sopra, egli sente la spinta a costruire relazioni al di fuori della famiglia di origine, com’è giusto che sia, ma ancora non possiede pienamente le capacità di farlo.
Questa dualità si rispecchia anche nei confronti del proprio corpo che egli vede cambiare repentinamente e con una velocità tale da non lasciare spesso tempo alla psiche di adattarsi ai cambiamenti.
Fatte queste premesse, non è difficile comprendere come la famiglia d’origine possa essere ancora un porto sicuro dove rifugiarsi quando l’adolescente ha dei momenti di instabilità, perplessità, indecisione e dubbi: un po’ come farebbe un uccellino che, non ancora sufficientemente ferrato nell’uso delle sue delicate ali, ha bisogno di tornare spesso al nido durante la fase di apprendimento del volo.
Ecco perché non è opportuno separare bruscamente la realtà di un’adolescente da quella della famiglia di origine.
Altresì, questo non significa che la famiglia debba e si possa sostituire in toto alle relazioni coi pari che necessitano all’adolescente: significherebbe castrarlo nelle sue possibilità di farsi esperienza nel mondo esterno.
Il Covid-19 ha però ridotto molto le occasioni sociali di un adolescente che si è trovato costretto, uso malgrado, nel ristretto cerchio della famiglia di origine, spesso con una riduzione della privacy: pensiamo ad esempio a quelle famiglie dove la mattina, per smart working e scuole chiuse, genitori e figli debbono dividere spazi già delimitati.
MA CI POSSONO ESSERE ASPETTI POSITIVI IN QUESTA CRISI?
Intolleranza, rabbia, insofferenza fino ad arrivare a vere e proprie manifestazioni aggressive e/o depressive, possono essere comuni sia nei genitori che negli adolescenti. In questo senso, la pandemia è stata una prova del nove che ha sottoposto a un duro test l’efficacia delle nostre relazioni familiari: se da una parte, giocoforza, il Covid ha ridotto molto le interazioni sociali esterne di un adolescente, dall’altra ha posto tutto il nucleo familiare a uno stress-test non indifferente che può (e sottolineo PUO’) avere i suoi risvolti positivi. Tutto sta a quanto siamo disposti ad accogliere l’occasione di consapevolezza che ci porta la vita ?
Quali sono questi risvolti positivi? Ad esempio, l’accorgersi che ci sono dei modelli relazionali da rivedere all’interno del nucleo familiare. Al netto infatti della naturale e biologica tendenza a uscire dal proprio guscio di origine tipica di un adolescente, è meno normale che il tempo passato con la propria famiglia venga vissuto con uno spiccato disagio che in alcuni casi può sfociare in veri e propri disturbi psicofisici. In altri termini, è come se la vita ci stesse sbattendo in faccia quello che, come singoli individui, non volevamo vedere.
Quale può essere un altro risvolto positivo? Magari quello di comprendere finalmente quanto siamo condizionati – noi e i nostri figli – da modelli culturali ed economici che ci hanno da sempre imposto un modello di vita basato sulla frenetica attività a tutti i costi: per sentirci vivi ed “essere”, bisogna sempre muoverci, muoverci, muoverci, fare questo, fare quello e farlo senza starci tanto a pensare, alimentando così un approccio a dir poco superficiale a tutta la nostra vita.
Forse la pandemia ci ha rammentato, certamente in modo brutale, che è anche possibile fermarsi, riflettere, vivere di piccole cose e relazioni di tutti i giorni, assaporare la semplice quotidianità delle azioni e magari essere grati per quello che abbiamo e che, poco saggiamente, diamo per banale e scontato.
La nostra è purtroppo una società consumistica (nei concetti e nei fatti) che non insegna che è possibile prendersi del tempo per conoscersi e per conoscere, contribuendo così a rendere alienato l’uomo da se stesso e facendolo entrare in crisi nel momento in cui non può contare su distrazioni esterne tra l’altro basate sul consumo e quindi sulla dipendenza economica.
Ora, come genitori, abbiamo due modi di prendere quello che ci ha imposto questa pandemia: disperarci appresso alle suddette gelide statistiche, oppure vederla come un’occasione per crescere nelle relazioni con i nostri figli e i nostri partner e per insegnare loro che anche da una tragedia come questa è possibile, non senza sacrificio, trarre qualcosa di utile per la crescita personale.
Note:
[1]: Maurizio Andolfi, La terapia con la famiglia. Un approccio relazionale, Casa Editrice Astrolabio, 1977, pag. 41.
[2]: Marshall B. Rosenberg, Le parole sono finestre (oppure muri), Esserci edizioni, 2018, pag. 132.
[3]: Thomas Gordon, Genitori efficaci, edizioni la meridiana, 2014, pag. 108 e segg.
[4]: ibidem, pag. 71.
[5]: ibidem, pag. 145.