Adolescenza e COVID: genitori e figli tra difficoltà e soluzioni. (1° parte).
L’ADOLESCENZA E LE SUE DIFFICOLTÀ.
Il primo lockdown dovuto alla pandemia da Covid-19 ce lo ricordiamo fin troppo bene: aria da coprifuoco di guerra, strade deserte, accessi ai supermercati contingentati, cori dai balconi per condividere l’esperienza insieme ed esorcizzare la paura della solitudine, serrande dei negozi abbassate, scuole chiuse e lavoro da casa. E in seguito, restrizioni più o meno severe legate ai “colori” delle Regioni.
La mia generazione e quella più giovane, non avevano mai visto niente di simile e tutto questo sarebbe stato ancora niente rapportato alla crisi economica che ne sarebbe derivata.
Lo scenario lo conosciamo bene, inutile spenderci altre parole. Dove però non si è detto (e soprattutto fatto!) abbastanza, è sull’impatto che questa situazione ha avuto nei confronti dei pre-adolescenti e adolescenti, fascia di popolazione – tra le più importanti perché rappresentante del futuro di una nazione – che era già affetta da disagi sommessi e poco evidenziati.
La pandemia ha provocato un senso di paura e ansia in tutto il mondo. Questo fenomeno ha portato a implicazioni psicosociali e di salute mentale a breve e lungo termine per le fasce più indifese di cui sopra (oltre ovviamente agli anziani).
La qualità e l’entità dell’impatto sui minori, è determinata da molti fattori di vulnerabilità come l’età dello sviluppo, lo stato di istruzione, le condizioni di salute mentale preesistenti, l’essere economicamente svantaggiati o essere messi in quarantena a causa di infezione o solo sospetta infezione.
Anzitutto, cerchiamo di definire, anche se a grandi linee, l’età dell’adolescenza: Secondo una recente ricerca, pubblicata lo scorso anno su Lancet Child & Adolescent Health, la pubertà ora inizia a 10 anni e l’adolescenza finisce a 24.[1]
I giovani si sposano e hanno figli più tardi rispetto a un tempo. Questo significa un aumento di quasi otto anni sulla media rispetto al 1973 secondo l’Office of National Statistics, in Inghilterra e nel Galles.
Ma i dati più preoccupanti, sono certamente quelli inerenti le condotte suicidarie: “A livello globale, secondo l’ Organizzazione Mondiale della Sanità, i suicidi si collocano al secondo posto tra le cause di morte nella fascia d’età tra i 15 e i 29 anni. Questa rappresenta la seconda causa di morte anche per i giovani italiani dai 15 ai 24 anni. Sono circa 4.000 i suicidi ogni anno registrati nel nostro Paese; riferisce l’Istat che oltre il 5% dei suicidi è compiuto da ragazzi sotto i 24 anni”.[2]
L’ISTAT riporta che il tasso di mortalità per suicidio in Italia è pari a 6 per 100mila residenti (più basso della media europea, pari a 11 per 100mila). Tale quota aumenta con l’età, passando da 0,7 nei giovanissimi (fino a 19 anni). Nella classe di età tra i 20 e i 34 anni, il suicidio rappresenta una rilevante causa di morte (12% dei decessi). (dati 2015-2017 ).[3]
Altra piaga che affligge il mondo degli adolescenti, è la dipendenza da sostanze. In ambito, nel 2016, i ricoveri per diagnosi droga-correlata sono 108 ogni milione di residenti (pari a 6.575, +10% rispetto al 2015), in aumento nell’ultimo triennio soprattutto tra i giovani di 15-34 anni.[4]
Non bisogna cadere nel panico di fronte a queste statistiche ma neanche ignorarle. Se da una parte infatti, rispetto agli anni ‘70-‘80, la sensibilità delle famiglie rispetto a questi temi è cresciuta non poco, dall’altra sembra che la socialità tradizionale tra i ragazzi – quella cioè di strada che ci portava a stare all’aria aperta, a uscire di casa e a conoscere la vita “dal vero”- sia fortemente diminuita in favore dell’intrattenimento digitale.
Questi strumenti, pur ovviamente non eliminando del tutto il contatto reale per fortuna, hanno certamente portato molte relazioni a essere vissute tramite il mezzo digitale.
Questo progresso tecnologico ha permesso a una nazione di non fermarsi del tutto durante la pandemia (ben utili si sono rivelati infatti i vari Skype, Zoom et similia che hanno certamente alleviato l’isolamento personale e permesso lezioni e lavoro), tuttavia potremmo anche considerarlo come uno strumento di cui, troppe volte, se ne fa un uso non proprio ortodosso se non un vero e proprio abuso.
Stiamo parlando di difficoltà di comunicazione familiare presenti ben prima dell’avvento del Covid-19 che portano i nostri adolescenti, verso l’abuso o uso improprio dei media digitali.
SCUOLE CHIUSE E DISAGIO DA MANCATE RELAZIONI CON GLI AMICI.
Uno studio ha accertato, a livello globale, che le chiusure a livello nazionale di scuole e college hanno avuto un impatto negativo su oltre il 91% della popolazione studentesca mondiale.[5]
Inoltre, il confinamento domestico di bambini e adolescenti è associato a incertezza e ansia che sono attribuibili a interruzioni nella loro istruzione, attività fisiche e opportunità di socializzazione.[6]
FATTORI DI RISCHIO E FATTORI DI PROTEZIONE.
In questo senso, il Covid-19 si è rivelato una prova del nove che ha fatto affiorare tutte le difficoltà sociali e familiari che si nascondevano sotto il pelo dell’acqua della quotidianità. Queste difficoltà erano tenute a bada dalle varie occupazioni giornaliere (scuola, lavoro, incontri al bar…) le quali, oltre a svolgere il loro compito principale, servivano alla persona per proteggersi da un mondo esterno ed interno a se stessa, che altrimenti sarebbe stato troppo pesante da gestire.
Teniamo presente che la nostra società consumistica, non promuove la capacità dell’individuo di saper stare bene con se stesso in un buon equilibrio tra il suo mondo interiore ed esteriore, ma anzi incita a dipendere dal consumo di oggetti e servizi esterni a se stesso; il risultato è che quando la persona non può più accedere a questi oggetti esterni a se stesso, incapace contemporaneamente di gestire il proprio mondo interno, collassa su stessa con risultati quali nervosismo, aggressività, intrattabilità, ansia generalizzata, preoccupazione, sensazione di impotenza e inefficacia di fronte a un presente minaccioso e privatorio e un futuro incerto, manifestazioni psicosomatiche (tensioni muscolari, dermatiti/psoriasi, gastriti…) fino a veri e propri attacchi di ansia o panico. Queste condizioni sono certamente amplificate in quelle famiglie dove i genitori hanno subito difficoltà economiche dovute alla perdita o alla diminuzione del lavoro magari dovute alle misure restrittive anti-Covid.
Per un adolescente, questa situazione può essere dunque una fonte di forte disagio, allo stato attuale dei condizionamenti della nostra società/cultura. Le motivazioni possono essere molteplici e variano in base a diversi fattori: situazione psicologica della famiglia di origine, tipo di personalità propria, caratteristiche dell’ ambiente esterno (scuola, gruppo dei pari….), situazione economica, etc. etc.
Grande importanza assumono quindi, in senso sia negativo che positivo, i cosiddetti fattori di rischio e fattori di protezione: i primi sono quelli che contribuiscono a generare un clima di instabilità e insicurezza destabilizzando la cosiddetta base sicura sulla quale si fonda lo sviluppo dell’individuo; i secondi, sono quelli che agiscono nella direzione opposta consolidando invece questa base sicura.
Un esempio: un giovane ha un rapporto freddo con in propri genitori (fattore di rischio per la costituzione della propria personalità) ma sa di poter contare sulla presenza e sul supporto di uno zio (fattore di protezione) che di fatto fa le veci dei genitori così disimpegnati. L’azione disfunzionale della distanza genitoriale, viene cioè mitigata dalla presenza calorosa del parente.
UN GENITORE NON È UNA DIVINITÀ.
É importante che il genitore non si carichi oltremodo di aspettative non realistiche e sensi di colpa fuori luogo; come affermava T. Gordon, un genitore non è una divinità [7] ma un essere umano con il suo carico di paure, responsabilità, forze e fragilità, capacità di fare cose giuste e sbagliate. E certamente, anche il genitore può aver bisogno di aiuto.
Ancora, è importante cominciare a smantellare l’idea che il genitore debba apparire perfetto agli occhi dei figli. E’ questa un’ idea dura a morire nella nostra società, un po’ perché si basa su un’immagine idealizzata di sè non portata alla consapevolezza del singolo genitore, un po’ perché siamo stati cresciuti con la credenza condizionante di dover essere sempre efficienti, produttivi, “pronti sul pezzo”, pena il subire il giudizio di chi ci circonda; questo è un vero e proprio condizionamento disumanizzante alimentato da una società consumistico/commerciale dove l’uomo è ridotto a una macchina, alienato dalla sua umana imperfezione, educato da un sistema di premi/punizioni che lo ha fatto crescere succube dei giudizi negativi esterni qualora il suo comportamento non rientri in determinati parametri di efficienza.
Diciamo invece che un genitore É un essere umano a tutti gli effetti e in quanto tale non è perfetto, eppure questo aspetto così scontato, viene preso di rado in considerazione. Quante volte ci si trova pronti a giudicare piuttosto che a comprendere? A giudicare anche noi stessi, non solo gli altri: il nostro giudice interiore può essere davvero implacabile! Ma porta solo bassa autostima, auto-risentimento, rabbia e colpevolizzazione.
E SE SBAGLIO COME GENITORE?
Dalla nostra capacità di tollerare i nostri errori e di annullare il feroce auto-giudizio, scaturisce la possibilità di insegnare ai nostri figli, a fatti reali e non a parole, di viversi la propria natura umana senza sensi di colpa.
Ecco che in questa ottica dunque, l’errore non è visto come qualcosa di terribile e mortale ma come qualcosa che può essere accettato, elaborato e riparato senza per questo intaccare la propria autostima.
Sviluppiamo l’amore per noi stessi imparando anche a sbagliare: insegneremo ai nostri figli l’amore per loro stessi e a tollerare gli sbagli altrui.
Il riconoscimento della nostra imperfezione , paradossalmente, aiuta a instaurare un rapporto più autentico con i nostri figli che imparano così, attraverso il nostro sbagliare umano, che l’errore esiste è che può essere tollerato e riparato. L’errore fa parte della vita di un individuo che cresce, non a caso il bambino impara per tentativi ed errori.
E’ inutile dunque, da parte del genitore, mettersi una maschera in modo da apparire un super-uomo/donna: i figli, bambini o adolescenti che siano, sanno che non può essere così. La cosa più importante è quindi saper comunicare che, malgrado i nostri eventuali errori fatti in buona fede, noi per i nostri figli ci saremo sempre perché li amiamo di un amore incondizionato; li amiamo, cioè, semplicemente perché sono i nostri figli, non per quello che fanno o non fanno. [8]
Nella seconda parte dell’articolo , vedremo cosa possiamo fare come genitori per aiutare i nostri figli (e aiutarci) a superare questi momenti.
Note:
[1]: https://www.thelancet.com/journals/lanchi/article/PIIS2352-4642(18)30022-1/fulltext
[2]: (https://www.dire.it/07-09-2019/365100-il-suicidio-e-la-seconda-causa-di-morte-tra-i-giovani/ )
[3]: (https://www.istat.it/it/archivio/219807)
[4]: (https://www.istat.it/it/archivio/219807 , dati 2015-2017).
[5]: ( https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7444649/, Lee J. Mental health effects of school closures during COVID-19. Lancet. Child Adolesc. Health, S2352-4642(20)30109-7. 2020 doi: 10.1016/S2352-4642(20)30109-7. PubMed.)
[6]: (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7444649/, Jiao W.Y., Wang L.N., Liu J., Fang S.F., Jiao F.Y., Pettoello-Mantovani M., Somekh E. Behavioral and emotional disorders in children during the COVID-19 epidemic. J. Pediatr., S0022-3476(20)30336-X. 2020 doi: 10.1016/j.jpeds.2020.03.013. PubMed.)
[7]: Thomas Gordon, Genitori efficaci, edizioni la meridiana, 2014, pag. 21.
[8]: Erich Fromm, L’arte di amare, A. Mondadori Editore, 1995, pag. 60.